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lou reed's songbook |
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sabrina.bighignoli_voce |
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E non ci sarebbero stati Velvet Underground senza Andy Warhol che nella sua ricerca di arte totale li ha tolti dagli stage dei locali di periferia, come una scatola di detersivo dagli scaffali di un supermercato, per proiettarli sul palco dell’Exploding Plastic Inevitable rendendoli il cuore pulsante di un evento sensoriale totale frammisti ad una variegata fauna di attori, ballerini e travestiti. Sono parecchie le testimonianze fotografiche e video di Lou Reed ed i Velvet nella Factory di Warhol ed a variegati festini fra queste anche l’omonimo film girato da Warhol nel ’66 “The Velvet Underground and Nico” che termina con l’irruzione della polizia nel loft di Warhol. Quest’ultimo fu il preludio all’album dell’anno seguente universalmente conosciuto come “Banana” e che, nella versione originale, presentava sulla copertina una grande banana gialla fustellata disegnata da Warhol stesso con la scritta “peel slowly and see”. Era l’anno in cui esplodevano i Doors ed i Beatles pubblicavano “Sergent Pepper’s” ben altro successo avrebbero riscosso questi gruppi implodendo poi in se stessi, eventualmente fino all’autodistruzione, incapaci di sopportare il peso di una popolarità planetaria in un tempo in cui il mondo era molto più grande di adesso. Questo non è stato certo il caso dei Velvet i quali avevano l’unica colpa di essere troppo avanti per il loro tempo, tanto avanti da ritrovarsi un bel momento a cadere nel vuoto dopo aver seminato tutto il proprio pubblico. Il legame fra Lou Reed e Warhol è continuato ben oltre lo scioglimento dei Velvet ed anche per questo dopo la morte di Warhol “The Brooklyn Academy of The Arts” chiese proprio a Reed ed a John Cale un lavoro specifico sulla figura di Warhol che si concretizzò nell’album “Songs For Drella”. Non bisogna comunque dimenticare il fatto che le menti del gruppo, Lou Reed e John Cale, erano comunque terreno fertile provenendo da esperienze accademiche anche rilevanti: John Cale ha studiato in un entourage culturale in odore di Cage, LaMonte Young (con il quale per un periodo portò avanti il progetto Dream Syndacate) e Lou Reed era compagno di sbronze del poeta americano Delmore Schwartz. L’insieme di tutte queste influenze di varia natura ha fatto sì che la produzione di Lou Reed, sia quella del periodo VU sia quella solista, sia pervasa da un innegabile spessore poetico e musicale che lo fanno entrare a nostro parere di diritto nell’ambito dei grandi song writer americani del novecento: anche il nome del progetto “Lou Reed’s Song Book” nasce da questa convinzione. L’ascolto attento della produzione di Lou Reed e dei Velvet nella preparazione del nostro lavoro ci ha portato alla constatazione che innanzi tutto Lou Reed è un poeta, tanto dal punto di vista letterario quanto da quello musicale, ed i poeti non vanno riscritti ma tradotti. Per questo ci piace considerare il nostro lavoro come una raccolta di brani di Lou Reed con il testo Jazz a fronte. In fondo “Caroline Says II” avrebbe potuta essere cantata da Billie Holiday, “Heroin” sarebbe stato perfetto per John Coltrane e peccato che Shirley Horne non abbia mai inciso “Venus in Furs”. Il nostro vuole essere per l’appunto un omaggio, ed il gruppo è quindi lungi dall’essere una tribute band. Il nostro approccio ai brani è stato quello quindi di esporli sì con una impronta tipicamente jazz, ma mai snaturandoli nella loro intima sostanza mantenendo il più possibile il loro spirito originale. L’impronta Jazz scaturisce principalmente dall’evoluzione della forma musicale e dall’approccio nei suoni.
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